Riflessione sul Vangelo della XXVIII domenica del Tempo Ordinario

La Parola di Dio di questa ventottesima Domenica del Tempo Ordinario ha come tematica l’Eucaristia. Il riferimento esplicito è riportato nella pericope evangelica in cui parla del re – che è Dio Padre – e del banchetto di nozze di suo Figlio, quello preparato con l’Eucaristia che è il Sacramento della nuova ed eterna alleanza in cui il Figlio di Dio ha voluto sigillare il patto di nozze tra la nostra umanità e la sua divinità. Con la partecipazione al banchetto eucaristico noi entriamo in comunione con Cristo stesso per cui comunichiamo alla sua stessa vita di Figlio di Dio.

Con la partecipazione al banchetto eucaristico dunque, noi entriamo in comunione tra noi e con la stessa vita di Cristo.

E per prendere coscienza dell’importanza del banchetto eucaristico e di come attraverso esso si entra in comunione con il Risorto e – in Lui – con quanti se ne nutrono si ripropongono di seguito alcuni insegnamenti di San Giovanni Paolo II, contenuti nella Lettera Apostolica Mane nobiscum Domine: «Non c’è dubbio che la dimensione più evidente dell’Eucaristia sia quella del convito. L’Eucaristia è nata, la sera del Giovedì Santo, nel contesto della cena pasquale. Essa pertanto porta iscritto nella sua struttura il senso della convivialità: “prendete e mangiate”. Questo aspetto ben esprime il rapporto di comunione che Dio vuole stabilire con noi e che noi stessi dobbiamo sviluppare vicendevolmente. Non si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha anche un senso profondamente e primariamente sacrificale. In esso Cristo ripresenta a noi il sacrificio attuato una volta per tutte sul Golgota. Pur essendo presente in esso da risorto, Egli porta i segni della sua passione, di cui ogni Santa Messa è “memoriale”, come la liturgia ci ricorda con l’acclamazione dopo la consacrazione: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione…”. Al tempo stesso, mentre attualizza il passato, l’Eucaristia ci proietta verso il futuro dell’ultima venuta di Cristo, al termine della storia. Questo aspetto “escatologico” dà al Sacramento eucaristico un dinamismo coinvolgente, che infonde al cammino cristiano il passo della speranza. Tutte queste dimensioni dell’Eucaristia si rannodano in un aspetto che più di tutti mette alla prova la nostra fede: è il mistero della presenza reale. Con tutta la tradizione della Chiesa, noi crediamo che, sotto le specie eucaristiche, è realmente presente Gesù. Per questo la fede ci chiede di stare davanti all’Eucaristia con la consapevolezza che siamo davanti a Cristo stesso». (Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine, n. 15- 16). Circa la comunione con il Risorto, nella parabola del banchetto delle nozze balza all’attenzione dei destinatari il segno dell’abito nuziale, il cui significato è davvero profondo: esso simboleggia certamente la coscienza pura, la fedeltà a Cristo, la coerenza dell’essere e soprattutto del vivere da cristiani. Non è possibile entrare in comunione con Cristo con la partecipazione al banchetto eucaristico, e poi restare separati da Lui perché in stato di peccato, o separati dai fratelli perché in lite o divisi da loro. Al banchetto dell’eucaristia occorre prendere parte con l’abito nuziale, cioè con l’abito della coscienza purificata dalla penitenza. Di Cristo restiamo sempre gli amici, anche quando lo tradiamo, perché noi possiamo permetterci di tradirlo, ma Lui non ci tradisce, noi lo rinneghiamo, ma Lui no! Ecco anche la ricchezza dell’espressione «Amico!». Così anche nella circostanza della cattura, Gesù si rivolge al traditore, a Giuda, e Io chiama «Amico»: «Amico, per questo sei qui!» (Mt 26,50). Quanta ricchezza e delicatezza in questa espressione! Noi siamo sempre i suoi amici e restiamo tali anche quando per la fragilità della condizione umana non riusciamo a manifestargli tutto il nostro amore. È Lui allora che rinnova la nostra coscienza e mettendosi alla nostra ricerca, come il padre del figlio prodigo, ci riporta a casa e ci riveste mediante il sacramento della Penitenza, con l’abito bello: «Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Le 15,22-24). Ma nel Regno dei Cieli, al banchetto di nozze del Figlio, non è il vitello grasso il cibo per far festa, ma è il Corpo e il Sangue del Figlio, che volontariamente si è voluto sacrificare per la nostra salvezza. Ecco dunque il significato profondo della Parola di Dio di questa domenica! Il Figlio di Dio che è Gesù Cristo, ci invita al suo banchetto, alla sua mensa e ci dona pane vivo, ci dona sé stesso, il suo vero Corpo, il suo vero Sangue. 

Alla Eucaristia domenicale, che è il vero banchetto imbandito da Dio sui nostri altari, si deve partecipare sempre con una partecipazione piena, attiva e non passiva, non da spettatori, come spesso capita, ma nutrendosi del Corpo del Signore, e facendolo anche degnamente, sapendo che è Lui a renderci degni con la coscienza limpida raffigurata dall’abito nuziale che richiama la veste bianca del nostro battesimo segno della nostra dignità di figli di Dio e che dobbiamo portare senza macchia per la vita eterna. Ovviamente dalla degna partecipazione all’Eucaristia scaturisce come conseguenza l’impegno del nostro agire quotidiano per cui, come ci dice Gesù stesso nel Vangelo di San Giovanni: «Così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57).

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