Riflessione al vangelo della XXX Domenica del T. O. Anno B
Il brano della guarigione del cieco Bartimeo si inserisce nel contesto del grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme; la guarigione della cecità diventa per Bartimeo un anticipo della salvezza che si compirà nella morte e risurrezione di Gesù. Guarito dalla sua cecità, può mettersi alla sequela di Gesù. Bartimeo è cieco, è seduto lungo la via. La strada è fatta per il cammino, non così per quest’uomo, fermo lungo la strada a causa della sua cecità che lo paralizza e lo rende mendicante, incapace di provvedere a sé stesso, bisognoso dell’aiuto degli altri. Tutti i giorni sono uguali per lui, contrassegnati dalla sua condizione che gli impedisce di vivere in pienezza la sua esistenza. Con il passaggio di Gesù sembra presentarsi a Bartimeo un’occasione unica, una novità assoluta ed egli la vuole afferrare: “cominciò a gridare e a dire. Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me”.
Il cieco non vede Gesù, non lo riconosce, ne sente solo parlare, vuole quindi “vederlo”. Per lui riavere la vista vuol dire vedere Gesù, ma vedere Gesù significa rinascere alla vita. Per questo il cieco si agita, grida verso di Lui. L’invocazione nasce dalla presa di coscienza della propria indigenza e si fa strada tra gli ostacoli esterni, che tentano di soffocarla. Come per il cieco, sono tanti che vorrebbero far rientrare questo grido nel coro di chi è preoccupato della quiete, di chi presta credito come verità della vita al “così fan tutti”. A volte è proprio la paura della folla, la pressione esercitata dalla mentalità comune a inculcare il terribile sospetto che questo grido sia sbagliato.
Bartimeo non si lascia intimorire e “grida più forte” testimoniandoci che l’invocazione della fede è grido insopprimibile: l’uomo ha bisogno di essere fasciato della misericordia di Dio, di farne gioiosa esperienza. “Vedere” è guarire, è essere abilitati al giusto senso delle cose e delle persone, dei colori della vita e dei desideri. Notiamo come la folla che tenta di fare tacere il cieco è quella che segue Gesù, come a sottolineare che noi, che tentiamo di seguire Gesù, da una parte dobbiamo lasciare sgorgare l’invocazione presente in noi e nello stesso tempo essere attenti non solo a non soffocare la domanda di salvezza presente negli altri, ma a lasciarci coinvolgere dal Signore, pur con i nostri limiti, per far giungere la sua chiamata: “Chiamatelo”. È Gesù che chiama il cieco, ma la sua chiamata giunge attraverso quelle stesse persone che volevano tacitare Bartimeo. La chiamata di Gesù apre all’incontro personale e Gesù si rivolge direttamente al cieco: “Che vuoi che io ti faccia”. E il cieco a Lui: “Rabbunì, che io riabbia la vista”.
“Và, la tua fede ti ha salvato”, Gesù ha letto la “fede” nel sentimento che aveva spinto il mendicante ad agire e a parlare.
Grazie alla fede il cieco è guarito: la sua fede supera le distanze e le restrizioni imposte dagli uomini, va diritto al cuore del Figlio di Davide e ottiene molto di più di ciò che aveva chiesto.
La guarigione del cieco è molto più della guarigione terapeutica: è segno di una salvezza donata da Gesù e accolta dal cieco. La fede lo ha salvato. La guarigione gli permette di vedere in Gesù non solo il benefattore capace di guarirlo, ma anche il Rabbunì (Maestro che vince la morte) da seguire. II nuovo Bartimeo è capace di vedere e perciò segue Gesù “per la strada”.
La grazia sanante e salvante di Gesù è capace di far superare paure, riluttanze e indecisioni, e di coinvolgere il discepolo nella dinamica della sequela con generosità, anche quando il Maestro lo porterà dove egli non vuole. La fede fa fare passi da gigante, spiana la via a chi è smarrito, dona la luce a chi vive nelle tenebre….
Il cieco Bartimeo che grida, invoca e viene esaudito è figura del discepolo che viene sanato dalla sua cecità nei confronti di Gesù, del suo mistero pasquale e può seguirlo sulla stessa strada. Il suo itinerario di fede che diventi anche il nostro.