Riflessione sul Vangelo della XXVI domenica del Tempo Ordinario

Gesù è giunto a Gerusalemme, dove porterà a compimento la missione che il Padre gli ha chiesto per la salvezza di tutti.

In un estremo tentativo d’amore spera che il suo popolo — popolo per la cui salvezza piangerà — accolga il Regno. Ma l’opposizione è totale; chiusa ad ogni sollecitudine, sorda ad ogni invito.

Gesù racconta così la parabola dei due figli inviati dal Padre a lavorare nella vigna di famiglia. Il primo sembra acconsentire, ma non va; il secondo si ribella un po’, ma poi va.

Il significato è facile da comprendere — e gli ascoltatori di Gesù lo compresero bene — ma non ne tirarono le conseguenze perché il cuore era gonfio di se, chiuso nei propri perbenismi. Questa è la tentazione che può allignare, come erba cattiva, anche nella vigna di Gesù, la comunità dei battezzati. Per vincerla c’è una sola via: non guardare gli uomini — anche eminenti — ma solo Gesù che pur di natura divina… si fece obbediente sino alla morte di croce.

Gesù è il Figlio di Dio, mandato dal Padre per salvare gli uomini dal peccato. Questo salvatore era atteso da molto tempo, ma non fu riconosciuto dai sapienti del tempio, profondi conoscitori delle sacre Scritture. Ora per raggiungere il Regno di Dio, ossia la vita insieme con Lui, non basta la conoscenza dei libri sacri — come ad esempio credevano i sommi sacerdoti e gli anziani — e l’ubbidienza alla legge di Dio (in alcuni libri dell’Antico Testamento troviamo le leggi che Dio aveva dato agli uomini che insegnava loro il modo giusto di comportarsi). Anche se tutto ciò è necessario. Con l’aiuto di questa parabola, che ha per titolo I due figli, Gesù, in qualità di Figlio di Dio, ci indica che per raggiungere il Regno dei cieli è estremamente importante anche la fede in Lui.

La fede è un dono che Dio fa ad ognuno di noi per permetterci di considerare Dio nostro Padre e di ritenere Gesù, suo Figlio, come mediatore per arrivare a Lui, suo, e nostro Padre. La fede ci rende capaci di vedere le cose in maniera diversa, infatti se crediamo che Gesù è il Figlio di Dio, quindi crediamo che Gesù è Dio, e lo prendiamo come modello di vita, sarà più facile ottenere di vivere insieme con Lui.

Non è necessario solo il compimento del proprio dovere, cosi come avevano pensato i sommi sacerdoti, che a proposito della parabola, risposero a Gesù che il secondo figlio aveva agito meglio del primo, dal momento che aveva fatto il proprio dovere.

Gesù, tramite Matteo, ci insegna che è anche importante capire come all’origine di questo dovere vi debba essere una convinzione profonda, considerare Gesù come il Figlio di Dio venuto per salvarci dal peccato e condurci alla vita eterna. I sommi sacerdoti, in altre parole, erano bravi nel conoscere la legge contenuta nei libri sacri, ma non altrettanto nel reputare Gesù Figlio di Dio portatore della salvezza. Essi non si lasciavano guidare dalla fede.

La fede se ci coinvolge, ci permette di essere più «bravi» dei sapienti del tempio: la fede dona la capacità di fare le cose non solo con la testa, perché si deve, ma anche con il cuore. 

Ora possiamo capire meglio la risposta della gente a Gesù, quando raccontò la parabola dei due figli: per mezzo della parabola, Gesù fa comprendere che quelli che erano considerati trasgressori della Legge e per questo condannati, erano in verità quelli che avevano obbedito a Dio e tentavano di percorrere il cammino della giustizia; mentre quelli che si consideravano obbedienti alla legge di Dio, erano in verità quelli che disobbedivano a Dio.

Il motivo di questo giudizio così severo da parte di Gesù sta nel fatto che i sacerdoti e gli anziani dell’epoca, non volevano credere che Giovanni Battista fosse venuto da parte di Dio. I pubblicani e le prostitute, invece, l’avevano creduto.

Questo significa che per Gesù la capacità di riconoscere la presenza attiva di Dio nelle persone e nelle cose della vita non c’era nei sacerdoti e nemmeno nei capi, ma nelle persone che erano disprezzate come peccatori e impuri. Si può capire perché queste autorità decisero di prendere e uccidere Gesù, infatti «ascoltando queste parabole, capirono che era di loro che Gesù parlava».

Chi volesse applicare questa parabola oggi, provocherebbe, probabilmente, la stessa rabbia che Gesù provocò con la sua conclusione. Oggi succede lo stesso. Poveri, ignoranti, donne, bambini, laici, laiche, operai, persone di colore, carcerati, ubriachi, tossicodipendenti, ragazze/ragazzi, madri/padri, disoccupati, analfabeti, malati, cioè tutte le categorie delle persone che sono di solito emarginate, come non facenti parte del società civile, queste persone, tante volte, hanno uno sguardo più attento per percepire il cammino della giustizia di quanto non riusciamo noi che viviamo tutto il giorno nella Chiesa e facciamo parte di una cultura che punta al benessere ed al consumismo.

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