Riflessione al Vangelo della V Domenica di Pasqua anno B

Il tempo di Pasqua ci porta a guardare a Gesù quale Salvatore vittorioso del male e della morte. Difatti, le parole del Vangelo di questa V Domenica di Pasqua ci introducono ancora una volta nel mistero pasquale di Gesù Cristo e le ascoltiamo proprio nel corso dei cinquanta giorni che intercorrono tra la Pasqua e la Pentecoste. La risurrezione di Cristo è la rivelazione della vita che non conosce i limiti della morte, in quanto la vita che si rivela nella risurrezione di Cristo è la vita divina. Nello stesso tempo, essa è “vita per noi”: per l’uomo, per l’umanità. È Gesù stesso che ci insegna questa verità con l’allegoria della vera vite e dei tralci: la risurrezione del Signore è infatti il punto culminante di tutta la sua opera salvifica.

 “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,5), dice Cristo agli apostoli nel quadro del grande “discorso d’addio” nel cenacolo, come leggiamo nel Vangelo di San Giovanni. Da queste parole del Signore vediamo quanto deve essere stretto e intimo il rapporto tra Lui e i suoi discepoli, quasi a formare un unico essere vivente, un’unica vita. Tuttavia, subito dopo, Gesù precisa il nostro rapporto di totale dipendenza nei suoi confronti: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Avrebbe potuto ugualmente dire: “Senza di me non potete neppure vivere, neppure esistere”. Tutto il nostro essere, infatti, è da Dio. Egli è il nostro Creatore.

       L’uomo che pretende di fare a meno di Dio, è come il tralcio separato dalla vite: esso “si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano” (Gv 15,6). Uniti a Cristo, noi viviamo della sua stessa vita divina e otteniamo ciò che chiediamo; separati da Lui, la nostra esistenza diventa sterile, priva di senso ed esposta al rischio della non salvezza.

Questo legame “organico” tra Cristo e i discepoli ha, ad un tempo, il suo riferimento al Padre. “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” (Gv 15,1). Nell’allegoria, Cristo pone questo riferimento al Padre al primo posto, poiché tutto il legame “organico” vivificante dei tralci con la vite ha il suo principio primo e il fine ultimo nel rapporto col Padre: Egli “è il vignaiolo”. Cristo è principio di vita, in quanto Egli stesso è “uscito dal Padre” (cf. Gv 8,42), il quale “ha in se stesso la vita” (Gv 5,26). È il Padre, in definitiva, che si prende cura dei tralci, riservando loro un trattamento diverso a seconda che portino o non portino frutto, a seconda, cioè, che siano vitalmente o meno inseriti nella vite che è Cristo.

       Se vogliamo portare frutti per la nostra e altrui salvezza, se vogliamo essere fecondi di opere buone in vista del regno, dobbiamo accettare di essere “potati” dal Padre, di essere, cioè, purificati, e quindi irrobustiti. Dio permette a volte che i buoni soffrano di più, proprio perché sa di poter contare su di loro, per renderli ancora più ricchi di buoni frutti. L’importante è fuggire la pretesa di dar frutto da soli. Ciò che occorre è mantenere più che mai, nel momento della prova, il nostro legame organico con Gesù-vite. Inoltre, la Parola di Gesù Signore indica chiaramente i criteri di distinzione tra chi è cristiano vero e chi non lo è: il vero legame vivificante del tralcio con la vite si evince dalle opere, dal comportamento, dalla coscienza o – per esprimerci col linguaggio biblico – da parte del “cuore”. “Chi osserva i suoi comandamenti, dimora in Dio ed egli in Lui” (1Gv 3,24). Questi comandamenti si riassumono nel dovere di amare “con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18), cioè in quella “verità” che è data dal credere “nel nome del Figlio suo Gesù Cristo” (1Gv 3,23).

         Se ci impegniamo in questo senso, saremo inseriti nella “vite” e “rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri” (1Gv 3,20). Otteniamo la pace della coscienza, quando ci riconciliamo con Dio e con i fratelli “non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18). Questa pace è dono di Dio, della sua misericordia che ci perdona. “Egli è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,20): Dio ha in sé una sorgente di vita molto più potente di quella del nostro cuore: se siamo tralci in pericolo di staccarsi, Egli solo può reinserirci nella vite. Se abbiamo rotto il rapporto con Lui a causa del peccato, Egli solo può riconciliarci con sé, purché, naturalmente, noi lo vogliamo.

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