Riflessione al Vangelo della XXIII Domenica del T. O. anno B

Il brano del Vangelo ci presenta un Gesù che si immerge nel territorio pagano, «in pieno territorio della Decapali». È come se il Vangelo volesse subito dirci che Gesù vuole portare le primizie della salvezza a quello che i Giudei consideravano il mondo degli esclusi. Ovviamente il mondo degli esclusi non è solo il mondo pagano, ma è anche quello che agli occhi dei Giudei è il «mondo castigato» da Dio, cioè quello dei peccatori: ciechi, sordi, muti, zoppi, ect. Il Vangelo vuole smentire tale concezione giudaica presentando Dio nella Persona e nell’agire di Gesù quale Salvatore e Liberatore. Gesù gli portano un sordomuto, un uomo incapace di ascoltare e di parlare.

L’udito e la parola sono due facoltà veramente importanti, due facoltà di cui soprattutto a livello spirituale si lamenta carenza. Ma nel risanamento del sordomuto compiuto da Gesù in disparte dalla folla (Mc 7,33) balza agli occhi la fatica compiuta da Gesù. Per attuare questa guarigione, Gesù non si serve della sola potenza della Parola, bensì compie anche umili gesti taumaturgici ponendo le dita negli orecchi e la saliva sulla lingua; la fatica si manifesta però soprattutto nel suo alzare gli occhi al cielo emettendo un sospiro, un gemito. Naturalmente, tali gesti fisici di Gesù non sono la causa propria e sufficiente del miracolo. Essi tuttavia svolgono una funzione ben precisa, benché solo simbolica e strumentale: sono, per così dire, «canali» attraverso i quali passa la grazia guaritrice di Gesù. Anche se questi gesti, questo «toccare da parte di Gesù con le dita e con la saliva, hanno una funzione secondaria, tuttavia non vanno sottovalutati e, se Marco li ha ricordati, ciò significa evidentemente che anch’essi meritano la nostra attenzione. Qual’è il loro significato? Lo possiamo collegare al significato materiale-simbolico dei sacramenti, i quali, come è noto, posseggono un aspetto materiale e un valore, più profondo e decisivo, spirituale-soprannaturale. Con ciò essi si adattano benissimo alla duplice dimensione, materiale e spirituale del nostro essere umano, sicché mediante il simbolo materiale, siamo aiutati a comprendere e ad apprezzare il lavoro invisibile della grazia, della quale essi sono veicolo e causa strumentale.

Anche l’opera dei sacramenti si inserisce, come sappiamo, e in modo eminente, nell’opera della salvezza, accanto alle opere della misericordia, della carità e della giustizia. L’azione dei sacramenti dà a queste opere un valore non solo per la vita presente ma anche e soprattutto per il futuro Regno di Dio: essi sono di conforto e sostegno nella costruzione del Regno e prefigurano quella vita di figli di Dio, al di là di ogni giustizia umana, che avrà la sua pienezza alla Parusia del Signore.

E poi, il grido di Gesù al sordomuto «Effatà» – che vuol dire “apriti” – non è tanto rivolto agli organi di fonazione e di udito, quanto alla persona stessa dell’ammalato: è l’apertura alla Parola di Gesù che gli consentirà la guarigione spirituale, manifestata da quella fisica. «E subito» – dice il Vangelo –, immediatamente, il sordomuto guarisce: gli effetti del comando di Gesù dimostrano che Lui ha ed è la Parola creatrice di Dio, la stessa con cui Dio ha creato tutte le cose dal nulla. Ed è ciò che avviene anche nel caso del lebbroso, del paralitico e dell’emoroissa.  «Effatà» è il grido che ancora oggi Cristo, attraverso la Chiesa, sua sposa, rivolge ad ogni abitante della terra. Ovviamente tutto questo la Chiesa lo deve fare con lo stesso stile del suo Signore, testimoniando cioè, non solo con la parola, ma anche con la propria vita di essere mediatrice dell’opera salvifica di Cristo, di Colui che ha vinto il peccato e la morte e ha fatto risplendere la vita mediante il Vangelo.

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