Riflessione sul vangelo della III Domenica di Quaresima Anno C
Il Vangelo di questa III Domenica di Quaresima riporta una parabola evangelica che descrive la vicenda della nostra vita, che spesso risulta sterile, ma viene salvata dalla misericordia di Dio in Gesù. Egli chiede a tutti di lasciarsi toccare il cuore: questo tempo è dato per la nostra conversione. Dio non è intento a mandarci disgrazie perché ci ravvediamo (è una concezione distorta di Dio, e purtroppo è molto diffusa), tutt’al più, Egli desidera e si aspetta che valorizziamo i suoi doni a beneficio del nostro compimento e del bene di tutti.
In questo Gesù è più che chiaro! Egli aveva appena concluso il suo discorso parlando appunto di interpretazione dei «segni dei tempi», affermando che «quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: viene la pioggia, e così accade»; i referenti vanno subito con la mente ai Galilei uccisi: che segno era?… Che erano grandi peccatori! È ciò che riescono a concludere…
Gesù legge nei loro pensieri questa interpretazione errata di quel segno particolare: «Credete voi che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico».
Gesù non lo dice per difendere i suoi connazionali, ma perché esige che si giudichi con saggio discernimento i tanti eventi, sovente giudicati invece nelle maniere più contrastanti, o cogliendo addirittura l’occasione per condannare Dio e la sua Chiesa.
Con questo Gesù afferma che nessun male viene da Dio: Egli è la vita e non causa la morte, Egli è la felicità e non produce tristezza.
I mali hanno sempre un’altra causa: il peccato, Satana, la cattiveria umana, o moventi naturali. Ad esempio il terremoto obbedisce a precise leggi naturali – in sé buone – che causano danni solo perché gli uomini non sono in grado di prevederli e premunirsi. L’esempio a cui Gesù rimanda della torre di Siloe che, cadendo, uccise 18 persone, è chiaro.
È vero però che alcuni mali fisici possono essere procurati dalla cattiveria degli uomini come Pilato. Milioni di martiri di tutti i tempi sono morti non per i loro peccati ma per l’orgoglio, l’intolleranza, la durezza di cuore di imperatori o governanti (oggi, sullo scenario mondiale abbiamo Putin e altri come lui…). In casa nostra, migliaia di persone sono colpite dalla mafia, dalla camorra, dalla ’ndrangheta, dalla sacra corona unita, ecc.. Migliaia di bambini sono abbandonati dalle madri nei contenitori d’immondizia o venduti per pochi euro.
Ogni giorno si paga e non per i propri peccati, ma per le cattiverie, l’ignoranza, le negligenze, l’ingiustizia degli altri. E poi c’è il mistero di Satana che, come dice san Pietro, «gira cercando chi divorare», o come disse Gesù: «Satana cerca di vagliarvi come si fa col grano». Ogni forma di male, infatti, ha come causa originale e primitiva, il peccato. Se Adamo ed Eva avessero obbedito a Dio, il male non sarebbe entrato nella storia. E se gli uomini si convertissero in blocco, il male scomparirebbe dalla faccia della terra.
Nell’attuale economia della salvezza, il male morale è l’unico vero male; il male fisico non sempre è veramente tale, ma spesso – a considerarlo in profondità – è un bene: ad esempio il dolore è un campanello che avvisa di qualche disfunzione; guai se non ci fosse!
Sempre nell’attuale economia della salvezza, il male fisico è anche un ottimo strumento di purificazione spirituale.
Il male fisico, talvolta, è finalizzato direttamente alla gloria di Dio, in quanto diventa occasione di qualcosa di buono, come un miracolo di guarigione. Portarono un giorno un cieco a Gesù, gli fu chiesto: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori?» (Gv 9,3). Gesù rispose: «né lui né i suoi genitori, ma è per la gloria di Dio». Dunque, non è Dio che punisce, ma la condanna è implicita nel peccato. Il peccato è un distogliersi da Dio per rivolgersi alle creature: esso sporca l’anima. Ecco perché Dio dà la possibilità di purificarsi prima di essere riammessi alla sua presenza. La purificazione avviene attraverso la propria conversione, l’ardente carità verso Dio e il prossimo, la preghiera e la penitenza, in terra o nell’al di là (purgatorio).
Spesso, purtroppo, pagano gli innocenti. Gesù, l’innocente, è solo un esempio.
Dio ha ordinato il mondo umano in modo che ciascuno possa essere di giovamento e – purtroppo – anche di danno all’altro, in modo da renderci reciprocamente solidali. Nella sua infinita sapienza ha calcolato che questo giova a tutta l’umanità.
E se pur è vero che non sempre si paga per i propri peccati, chi commette peccato pagherà certamente.
Quando vediamo i disonesti, i furbi vivere una vita più agiata dei buoni, il castigo è solo rinviato.
Un padrone – disse Gesù – voleva sradicare l’albero sterile da tre anni. Il contadino gli disse: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi intorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13,8s).
Dio è giusto e paziente. Ma giunge il giorno indilazionabile della resa dei conti: il fico trovato senza frutti, fu maledetto e seccò; colui che sotterrò il talento fu castigato. Gesù disse: «Credete voi che quelli che morirono sotto la torre, fossero più peccatori degli altri? No, vi dico; ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo».
Allo stesso modo non significa «uccisi» come i Galilei o gli uomini della torre, ma nel modo stabilito da Dio per i reprobi, alla fine del mondo.
La pazienza di Dio verso gli uomini è sempre così grande quanto basta perché ogni uomo diventi santo e grande santo. Ma l’uomo, ogni uomo, ha a sua disposizione solo l’«adesso». La più grande tentazione del demonio è quella di far rimandare ad un «poi», il momento dell’impegno e della conversione. Si perisce per scelta personale, perché si rifiuta di accogliere quanto viene continuamente offerto dal Signore per la propria salvezza.