Riflessione sul Vangelo della XV domenica del Tempo Ordinario
In questa domenica e nelle due seguenti sarà letto il capitolo Xlll di Matteo relativo alle parabole del Regno di Dio. Queste pagine offrono un’esposizione e un’interpretazione del mistero della Chiesa.
Passo fondamentale è riconoscere il seminatore senza lasciarsi deviare dai terreni. È lui l’attore principale. Non è un seminatore qualsiasi. È «il seminatore» per eccellenza, cioè Gesù, immagine perfetta di Dio Padre.
Questo seminatore è un seminatore generoso e ottimista che sparge ovunque la sua semente. Non si perde d’animo se la strada, gli uccelli, le spine, possono intralciare il suo lavoro. Egli sa che in ogni campo ci sono sempre terreni che danno frutti abbondanti; e che abbondanza!
Il messaggio è molto chiaro. Per quel che dipende da Dio il seme della sua Parola porta sempre frutti abbondanti, nonostante le difficoltà che incontra. La sua Parola e il suo amore sanno vincere la durezza del cuore, l’indifferenza, il rifiuto, il tradimento, qualsiasi ostacolo. L’opera di Dio, da parte sua è sempre efficace.
Gesù-Parola-del-Padre è il seme che cade nel nostro cuore. Anche lui è caduto nella terra ed è morto per dare molto frutto.
Oggi la Parola-seme di Cristo ci raggiunge in tanti modi: attraverso la Sacra Scrittura, gli insegnamenti della Chiesa, i genitori e gli educatori… Lo Spirito che parla, guida e orienta alla vita divina e alla santità il nostro cammino.
Il «seme» lasciato cadere da Dio nel nostro cuore ha una forza vitale esplosiva. Anche quando può sembrare ormai inutilizzabile ha la forza di germogliare, fiorire e fruttificare.
Il seme della Parola di Dio. È un seme vigoroso e potente che sempre dà frutto. Può arrivare al nostro cuore in modo occasionale. Avere una gestazione lunga e inconscia. La Parola è creatrice e trasforma la vita: germoglia, fiorisce e fruttifica anche dopo lungo tempo.
Molte sono le vie della Parola per giungere al cuore. Il luogo privilegiato dove risuona con un’efficacia eccezionale è nel contesto dell’Eucaristia.
Se la semente rimane nel granaio o nelle mani del seminatore va perduta. Non può fruttificare e assicurare il pane quotidiano.
La Parola è sempre creatrice. Basta lasciarla fare. Se penetra, siamo «l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora». È responsabilità. Se la Parola è accolta e custodita nel grembo, essa germina fino a renderci figli del Regno.
Una scoperta. Nella nostra vita non ci sono quattro tipi di terreno, bensì quattro stagioni: il tempo del cuore arido, pietroso, spinoso o buono. Ma il seme gettato porterà frutto.
La parabola, dunque, non racconta di un contadino maldestro nel suo mestiere. Racconta un amore e una fiducia: verrà il frutto. Le messi biondeggiano. Le spighe sono ricolme di chicchi di grano.
Dio è un seminatore di speranza. Dio sa attendere. Anche se la situazione è negativa, spunterà il germoglio. Il seme, cioè la Parola, ha la forza di trasformare il terreno. 1 frutti non mancheranno.
Il gesto del seminatore non è condizionato dal terreno. È valido. È libero. È gioioso. La Parola va donata. Ma va anche accolta. Infatti, c’è una condizione fondamentale perché questo seme della Parola di Dio porti frutti abbondanti. Questa condizione ce la dice la seconda parte della parabola dove c’è un verbo molto importante che ci indica con chiarezza questa condizione. È il verbo «comprendere».
Comprendere vuol dire «prendere con». Noi siamo strada impenetrabile o terreno buono a seconda che prendiamo o non prendiamo con noi la Parola di Dio. E noi sappiamo che Parola di Dio sta per Dio stesso. Noi saremo saldi, saremo per sempre amici di Dio, produrremo opere di amore, se accoglieremo Dio con noi, se lo ascolteremo, se ci fideremo di Lui, se faremo ciò che Lui ci indica.
Falliremo se ci chiuderemo in noi stessi, se ci fideremo solo di noi stessi, se faremo solo ciò che ci piace, escludendo, non prendendo con noi la Parola di Dio, cioè Dio stesso.
Queste sono le due categorie estreme di persone: quelle che prendono con sè Dio e si fidano esclusivamente di Lui e sono suoi amici e quelle che lo escludono considerandolo un fastidio e preferiscono perciò fare da sole.
«Chi ha orecchi, intenda». Per udire bisogna comprendere. Cioè «in-ten- dere», mettersi in cammino verso Qualcuno. Essere appassionati di Lui. Deciderci per Lui. Convertirci.