Riflessione sul Vangelo della XIV domenica del Tempo Ordinario
Dopo esser stati invitati – domenica scorsa – a dare definitivamente il primo posto al Signore Gesù, che si presenta a noi nel mistero della sua croce – chi non lo accetta così, con la sua croce, non è degno di Lui – nel brano del Vangelo di questa domenica, San Matteo ci fa fare un passo ulteriore per meglio farci comprendere il disegno di Dio in cui si possano distinguere due momenti: il primo è il mistero delle scelte divine e ci riguarda tutti da vicino. Dio ha un suo modo di giudicare e di agire che spesso è agli antipodi dei criteri umani. Chi è destinato al successo secondo la comune ottica moderna? Colui che molto ha di: intelligenza, soldi, posizione sociale, salute. Tutte cose importanti, doni di Dio oltretutto. Ma a chi veramente si confida e si rivela il Signore? Ai piccoli ed ai semplici, a coloro che non sono gonfi di sè e non rivendicano posizioni di primato, a quanti sono contenti di quello che sono e che hanno. Dove il «mondo» vede soltanto lo scarto, Dio sceglie i suoi confidenti e li riempie del suo Spirito.
Il secondo ci aiuta ad apprezzare tutto il Vangelo ed è ciò che viene detto da Gesù nella seconda parte del suo discorso: «Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò.. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore…».
Con queste parole Gesù rivela e ci mostra alcuni tratti della ricca sua umanità. I tratti umani di Gesù sono importanti non soltanto per conoscere l’uomo Gesù o il modello dell’uomo che ha mostrato, ma anche per conoscere il tratto divino della sua Persona; in altre parole l’umanità di Gesù è trasparenza del volto di Dio, non l’involucro che lo nasconde. «Chi ha visto me ha “visto il Padre» (Gv 14,9), risponde Gesù alla richiesta di Filippo: «Mostraci il Padre». Filippo vedeva un uomo in carne e ossa che parlava aramaico, che conosceva i limiti umani fisici (fame. sete, stanchezza, sonno) e quelli psichici (dolore, tristezza, solitudine, incomprensione…), ebbene proprio in quell’uomo, egli doveva scorgere il volto del Padre.
Per Gesù essere Padre è il nome di Dio ed essere figli è il nome suo e di ogni uomo. Questo traspare in tutta la sua densità nel versetto 27: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare».
Cristo Gesù conosce il Padre per unità di natura, per generazione eterna, per comunione perfettissima di volontà. La natura del Padre è la stessa natura di Cristo, la sola, l’unica. Il Padre e il Figlio si conoscono in modo assai differente di come un uomo conosce un altro uomo. Cristo Gesù conosce il Padre perché sussiste nella Sua stessa natura. La natura del Padre è la natura di Cristo e la natura di Cristo è la natura del Padre e dello Spirito Santo. Questa unità di natura fa sì che solo Lui conosca veramente, realmente, eternamente il Padre. Solo Lui lo può rivelare al mondo intero. Ogni altra conoscenza di Dio deve essere in tutto conforme alla rivelazione che Cristo Gesù ci offre. Se c’è difformità, tutte le altre non sono vere, o sono incomplete, o imperfette, o abbozzate, o addirittura false, errate, ambigue, menzognere. La conoscenza che Cristo ha del Padre e che ha rivelato a noi è la misura della verità di ogni altra conoscenza di Dio. Ogni altra o è conforme a quella di Cristo Gesù, o è da dichiarare semplicemente imperfetta, incipiente, non giusta, non santa. La conoscenza di Cristo Gesù è infinitamente oltre la nostra natura. Essa è eterna e divina; è la sola vera, in Cielo e sulla terra, nel tempo e nell’eternità.
Gesù, riconosciuto e accolto il modo di agire del Padre, ossia la sua preferenza per i «piccoli», lo fa proprio e lo manifesta nel suo stesso modo di comportarsi: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi».
Il Signore, come un amico buono, chiama a sé tutti coloro che sono affaticati e appesantiti dalla vita: «Venite a me, vi ristorerò». L’invito pressante e gioioso quello che Gesù fa chiamando alla sua sequela, Gesù non toglie materialmente dalla fatica e dall’oppressione. La vita, in questo senso, non riserva una sorte migliore a chi lo segue; non riserva meno sofferenze, meno sciagure, meno incertezze; tutte queste cose colpiscono indiscriminatamente chi crede e chi non crede, il ristoro che Gesù offre è di un altro tipo; è Lui stesso, la sua amicizia, il suo cuore, la sua parola, la sua compagnia.
Il passaggio che Gesù invita a fare è quello dal vivere sotto il gravame della legge e dei precetti al vivere affidandosi a Lui; accogliendo è obbedendo al Vangelo. Anche Gesù parla di «giogo»; è il Vangelo, esigente e assieme dolce; è la fatica che bisogna fare per vivere il Vangelo. È diverso vivere per una persona e vivere semplicemente per obbedire a una legge. Credo che nessuno si entusiasmi più di tanto per una vita normale nella consapevolezza di compiere il proprio dovere. È il rapporto, la relazione che dà gioia, che riempie il cuore. Non è forse esperienza di tutti che il più grande sacrificio compiuto per amore costa meno del più piccolo sacrificio compiuto per dovere? Il giogo di Gesù è reso dolce dall’amore, donato e corrisposto.
Ponendoci alla sequela di Gesù, non solo siamo ristorati ma veniamo educati al «cuore buono», che sa farsi compassionevole, misericordioso, «imparate da me»: indica un atteggiamento che non tocca solo l’intelligenza, ma anche la persona e la vita, «che sono mite e umile di cuore». «Mite e umile: indicano l’atteggiamento di Gesù verso Dio e verso gli uomini. Verso Dio: un atteggiamento di confidenza, obbedienza, docilità. Verso gli uomini: un atteggiamento di accoglienza, pazienza, discrezione. disponibilità al perdono, addirittura al servizio. L’aggiunta «di cuore» non è senza importanza. Indica che le disposizioni di Gesù verso il Padre e verso i fratelli si radicano nella sua interiorità, e coinvolgono tutta la sua Persona».
«Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anche egli più uomo» (G.S. n. 41).