Riflessione sul Vangelo della XXIV domenica del Tempo Ordinario

Domenica scorsa abbiamo ricevuto in dono la Parola del Signore che offriva la sua luce alle modalità che devono guidare la prassi della correzione fraterna tra i discepoli del Signore. Mentre, in questa XXIV Domenica del Tempo Ordinario, ci viene consegnato lo stile di relazione davanti ai torti subiti. Gesù sa bene di aver dato vita ad una comunità di uomini e donne che a causa dei loro limiti, dei loro difetti, anche dei loro peccati dovranno spesso darsi e offrirsi vicendevolmente il perdono. La misura è sempre la stessa: quella smisurata dell’amore! Ma, innanzitutto, il perdono è da chiedere a Dio, poi da concedere ai fratelli. Il perdono dei fratelli è garanzia davanti a Dio, strada aperta verso il suo cuore, certezza della sua misericordia.

Certo il perdono è una dimensione del cuore; è un dono che si fa a chi ha sbagliato per qualcun altro che intercede, a cui ci si ispira o a cui non possiamo dire no. Pensiamo al perdono tra fratellini, dato per desiderio della mamma o tra amici veri, per salvare l’amicizia. Il discepolo dice Gesù, deve donare il perdono come lo dà Dio stesso: sempre, senza altra misura che l’amore. Lo dà perché ama, non perché è amato lo dà. Ti perdono perché sono figlio di Dio che ama e perdona…, non perché ho un interesse personale, ti perdono. E una volta perdonati da Dio e dagli altri, bisogna anche saper perdonare sé stesso, altrimenti il perdono è solo un alibi momentaneo, in attesa di una rivendicazione di sé, che è peggiore della stessa colpa commessa

Cristo sulla croce ha riconciliato l’umanità, ha dimostrato che l’amore passa attraverso il perdono. Egli ha annullato le differenze: fra schiavi e liberi, uomini e donne, ebrei e pagani, giusti e peccatori ed ha raccolto in un unico abbraccio tutta l’umanità.

L’umanità ferita, fragile e peccatrice è stata redenta, liberata, rinnovata in una nuova amicizia con Dio. È questo il senso dei brani che oggi la liturgia ci propone.

Davanti a Dio, ogni uomo è come lo spietato debitore, di cui si parla nella parabola di Gesù riportata nel Vangelo. Il suo debito è incommensurabile, incalcolabile, inestimabile, ma egli sa di potersi rivolgere a lui chiedendo perdono e sapendo di incontrare il suo sguardo benevolo e misericordioso.

Dio non fa conti, non tira le somme, non bada alle promesse di chi «giura di restituire» per salvarsi la pelle. Ascolta, invece, il grido di ogni servo che supplica con cuore sincero e aspetta solo di restituirgli la sua dignità di figlio. Il suo stile è basato sulla grandezza d’animo che non tollera le bassezze di chi è incapace di andare oltre le offese e di vedere, oltre il peccato il fratello che chiede pietà.

Infatti, Gesù – al termine della parabola – richiama l’attenzione dei credenti soprattutto sugli effetti spirituali dell’omissione di perdono.

Chi non perdona al fratello non viene perdonato da Dio, viene condannato a pagare nel purgatorio fino all’ultimo spicciolo i propri peccati, e, nei casi più gravi, può essere condannato all’inferno.

Noi stessi, nel “Padre nostro”, chiediamo a Dio di trattarci come noi trattiamo i nostri fratelli, quando diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Dio, perdonando l’uomo, tende a sciogliere dal suo cuore i lacci del peccato e a ridonargli uno spirito libero e puro capace di amare come lui ama, capace di instaurare rapporti nuovi, liberanti e accoglienti.

L’uomo invece tradisce l’amore di Dio e, mentre è pronto a chiedere il condono dei propri debiti, opprime sotto il giogo del proprio giudizio e della propria condanna il fratello che a lui chiede perdono, precludendosi da sé stesso l’accesso nel Regno dei cieli, il cui ingresso è aperto solo per coloro che pur peccando hanno saputo amare e perdonare.

Questo provoca l’ira di Dio che tratterà l’uomo secondo i suoi meriti.

Nessuno può ritenersi giusto davanti a Dio e avere la presunzione di salvarsi solo per i propri meriti. Al contrario la consapevolezza delle proprie fragilità e del bisogno di essere perdonato deve rendere il cristiano tollerante e benevolo alle altrui debolezze.

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