Riflessione sul Vangelo della XVIII Domenica del T. O. Anno C

L’episodio di cui ci parla il Vangelo di questa XVIII Domenica del Tempo Ordinario è di strettissima attualità perché, provocato da un anonimo ascoltatore, Gesù è chiamato a pronunciarsi sull’uso dei beni terreni, sull’uso delle ricchezze. È da precisare che si tratta di ricchezze oneste; quelle ricchezze che tutti desiderano per avere una vita personale, familiare, sociale economicamente serena. Dall’altra parte, nella parabola di Gesù, l’uomo ricco che ha ottenuto un buon raccolto, non si propone una vita dissoluta o licenziosa; egli semplicemente vuole “andare in pensione; vuole finalmente riposare, mangiare, bere e stare con gli amici”. Quest’uomo, umanamente onesto, Gesù lo definisce «stolto», «insensato» perché pensa che la sua vita dipenda dalla ricchezza in suo possesso. Né vita umana, né vita eterna dipendono dalle ricchezze; anzi queste possono essere un ostacolo e rendere la vita un continuo affanno e preoccupazione. Per questo per avere il tesoro del cielo, la vita eterna, la lotta contro i vizi, compresa l’avarizia insaziabile «che è idolatria», è richiesta ad ogni credente cristiano.

L’avidità dei beni terreni, infatti, rischia di far dimenticare i beni eterni!

Nel Vangelo può stupire il fatto che Gesù si rifiuti di intervenire a dare il suo parere in una questione di eredità: si ha la impressione di una scortesia davanti ad una richiesta che dimostra stima e fiducia nel divino Maestro. A Gesù urge precisare che il carattere della sua missione è spirituale. In secondo luogo, Gesù ha intuito l’animo non buono dei due fratelli: ciò sta soprattutto a cuore a Gesù più che la normativa giuridica concernente le questioni di eredità normativa che certo Gesù rispettava, ma che preferiva lasciare alle competenze dei giuristi o dei “notai”, diremmo oggi , ciò che sta a cuore a Gesù è correggere i due fratelli dalla cupidigia delle ricchezze, vizio che è vecchio quanto il mondo, ma che non per questo ed anzi proprio per questo è sempre da combattere.

Infine Gesù chiarisce il rapporto che deve intercorrere tra il possesso delle ricchezze e la ricerca del regno di Dio o le «cose di lassù». Bisogna dice Gesù «arricchire davanti a Dio». Che vuol dire? Gesù non condanna l’arricchire come tale, ma l’arricchire egoistico del personaggio della parabola. Arricchire davanti a Dio significa l’uso saggio della ricchezza per la soddisfazione dei propri legittimi bisogni e per ovviare alle necessità altrui in ottemperanza al volere divino che appunto vuole queste cose, e in vista, quindi, di raggiungere le «cose di lassù», ossia il regno di Dio, dove le ricchezze non saranno più occasione di peccato, ma la condizione materiale dell’eterna beatitudine.

Dio non ama la povertà, né disprezza la ricchezza. Il problema di Dio è il cuore dell’uomo!

L’uomo è un essere relazionale, e non può vivere per sé solo. Nel suo DNA c’è scritto che deve rapportarsi ad altri.

L’egoista è colui che – andando contro natura – incentra tutto su se stesso. È dominato da una forza centripeta verso l’ego.

L’egoista non piace a Dio né agli uomini, perché non realizza se stesso e non contribuisce alla realizzazione degli altri.

L’altruista obbedisce a una benefica forza centrifuga che lo fa rifuggire dall’arroccarsi in se stesso per donarsi agli altri.

L’altruista piace a Dio e agli uomini, i quali disprezzano istintivamente l’avaro e apprezzano l’uomo generoso!

Gesù, precisamente, mette in guardia da ogni forma avarizia, poiché ne esistono varie. L’avarizia è idolatria! Ma «la vita dell’uomo dice Gesù non dipende dall’abbondanza delle cose che possiede», bensì da Dio.

Al seguito di Gesù c’erano molte persone facoltose che con le loro sostanze assistevano Gesù e i suoi discepoli. C’era anche la moglie dell’amministratore di Erode. Se seguivano Gesù, vuol dire che non speravano nelle ricchezze. Se davano del loro a Gesù e ai discepoli e ai poveri, vuol dire che non avevano attaccamento alle cose terrene.

Chi si comporta così è sicuramente «povero in spirito» e si sente amministratore, non proprietario, di ciò che possiede.

Dio, venendo nel mondo, scelse la povertà e mostrò preferenza per i poveri. Ma non ogni povertà piace a Dio, bensì quella che è scelta o accettata per amore di Dio e del prossimo. Si può essere ricchi e salvarsi, poveri e dannarsi.

Ci sono poveri avari e cupidi più di certi ricchi. Forse che questi piacciono al Signore che ha detto: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia»?

La povertà accettata per amore, facilita l’ascesa della montagna che porta a Dio, perché libera dalle preoccupazioni del denaro e delle cose, e fa porre in Dio ogni fiducia e ogni speranza.

«Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34).

 

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