Riflessione al Vangelo della IV Domenica di Quaresima
Il Vangelo della quarta domenica di Quaresima ci riporta il dialogo tra Gesù e Nicodemo, « maestro in Israele, un capo dei giudei, fariseo», che si svolge a Gerusalemme, durante la festa settimanale della Pasqua. I contenuti di tale dialogo mettono in evidenza il piano salvifico del Padre: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui». La Salvezza, dunque, dipende dalla fede in Lui. E da cosa viene a salvare il Signore? Dalle tenebre del male, del peccato: « ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce».
Come in ogni epoca storica, anche oggi l’uomo è tentato di chiudersi nella sua infedeltà. E non solo! Anche il senso del peccato è scomparso nella mentalità e quindi nel linguaggio dell’uomo moderno e plurimediatico. Molti si beffano dei messaggi di Dio, disprezzano le sue parole e scherniscono i suoi servi e profeti. Quindi, una nuova schiavitù è piombata tra le strutture del peccato: si chiama con termine attuale «web-dipendenza» (e i suoi surrogati net-mediali) per cui non si usa più la parola «peccato», perché non c’è alcun peccato, anzi non c’è nulla di male, o che male c’è se si creano delle psico-dipendenze con il mondo virtuale, senza pensare che queste poi finiranno a divenire esperienze reali traumatizzanti e carichi di sofferenza e che a volte sfociano anche nella morte fisica.
Ci troviamo, oggi, uno di quei «secoli futuri» in cui il vero senso del peccato si va sempre più estinguendo, per cui non si apprezza la straordinaria ricchezza della grazia: le infedeltà e i soprusi contro i valori insiti nella legge naturale vengono attuate in nome dei gusti e dei capricci individuali scambiati come diritti irrinunciabili, mentre non sono altro che arbitrii di alcuni singoli.
Dinanzi a tale situazione il credente dalla fede dimezzata verrà meno e si lascerà trascinare via lontano dalla Salvezza. La fede è dimezzata quando il rapporto con Dio non è vissuto come grazia (puro dono) ma come impegno morale. In altre parole: Dio si comporta con me in modo speculare a come io mi comporto con Lui. Se seguo la retta via, se obbedisco ai comandamenti, se mi impegno nella preghiera… Dio mi risponde ed io sono nella posizione giusta per ricevere la grazia che gli chiedo. Il mio atteggiamento è quello di poter avanzare, per così, un diritto ne confronti di Dio: ho fatto questo per te e tu allora mi farai «grazia». Se dovessimo usare termini più semplici potremmo dire che in questo modo da Dio non mi aspetto «la grazia», ma uno «stipendio». Così facendo, la fede cristiana non è più il libero riconoscimento dell’amore di Dio che, in Gesù, si dona con totale generosità, ma aver fede significa iniziare un cammino che porta fino a Dio. Infatti, è diverso fare qualcosa per essere amati o fare qualcosa perché si è amati. Nel primo caso lo stile è quello affannoso dell’impegno e del «volontarismo» (vera e propria malattia spirituale che porta alla morte), nel secondo caso lo stile è quello del ringraziamento e della gioia per il dono ricevuto. Un conto è invocare chi non ti vuol sentire e un conto è rispondere a chi ti ha chiamato prima ancora che tu potessi esprimere un desiderio. Non ci si deve impegnare per avere un dono, ma da quando si è accolto il dono (grazia) altro non si fa che impegnarsi per custodirlo.
Proprio lo straordinario Vangelo di questa domenica (che andrebbe letto nella sua interezza) ci parla della gioia della Grazia. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito». Questo primato dell’amore del Padre è assoluto e solo il «sì» a questo amore apre il cuore alla grazia. La verità di cui parla Gesù è la verità esistenziale di chi scopre di essere amato nel Figlio e quindi come un figlio.
Come è avvenuto questo? La risposta di Gesù, giunti a questo punto del percorso quaresimale, si sta facendo chiara: «..bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato».
Con il brano di Giovanni arriviamo al vertice della Rivelazione di quello che Dio ha fatto, fa, e farà per noi a prescindere da ogni nostra decisione. Dio ha mandato il Figlio (non ha aspettato né la conversione, né la richiesta, né la consapevolezza degli uomini) nel mondo solo per amore. A questa verità si deve ubbidire per vedere la luce.