RIFLESSIONE SUL VANGELO DELLA QUARTA DOMENICA DI AVVENTO ANNO A
Il brano del Vangelo di questa IV domenica di Avvento ci aiuta entrare nel mistero del Natale e attraverso la vicenda di Giuseppe ci aiuta a distinguere la nostra fede dal mito: Giuseppe, figlio di Davide.
La verità fondamentale del mistero divino-umano di Gesù Cristo viene rivelata a chiare note nei Vangeli: Egli è il Messia, figlio di Davide, «colui che salva». Per questo il Figlio di Dio fu concepito dallo Spirito e nacque da «donna», entrando nella storia degli uomini inserito in una famiglia umana. Egli è l’Emmanuele, «Dio con noi».
«Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi». Non è solo venuto ad abitare «in mezzo a noi», ma «dentro di noi», per riconquistare lo spazio che il peccato e la morte avevano occupato nel cuore dell’uomo portandovi la tenebra.
Lo Spirito Santo opera nella carne di Maria e inserisce Dio nell’umanità, ma è anche per “si” di Maria che ciò avviene. Ella è Madre di Dio. Non ha infatti incubato un corpo estraneo, extra-terrestre, ma ossa delle sue ossa e sangue del suo sangue. Maria è necessaria alla manifestazione del mistero umano-divino di Gesù. Anche Giuseppe lo è.
Egli un giovane di Nazaret è discendente da famiglia nobile e gloriosa, ma ora decaduta, le cui origini risalgono a Iesse di Betlemme, padre di Davide. È lui che deve dare il nome al bambino che nascerà per opera dello Spirito Santo da Maria. Il Signore volge lo sguardo sull’umile suo servo e lo innalza nella paternità adottiva e nella sponsalità casta, che non rappresentano realtà amputate – anche per chi le vive di necessità ai nostri giorni – ma strumenti efficaci per esprimere la pienezza dell’amore, poiché è la dimensione dello spirito a fare la verità dell’essere padre/madre, sposo/sposa.
Nel momento solenne dell’annuncio, chiamandolo «figlio di Davide», l’angelo ricorda a Giuseppe che egli è l’anello decisivo che unisce Gesù alla stirpe regale inverando la Scrittura, è un testimone per Israele nei riguardi del Messia. La memoria degli antenati e le promesse a loro indirizzate placano l’inquietudine di Giuseppe. Inoltre, secondo solo alla Vergine Maria, egli riceve la rivelazione dell’evento salvifico mediante il nome – che racchiude l’essere, il significato e la potenza di Dio – che è esortato ad imporre: Gesù, «il Salvatore» mediante il quale Dio rinnova l’umanità.
In questo modo Natale – e ogni Natale – non è più la nascita di un bambino che comincia già a morire, perché dalla greppia di Betlemme trasborda la grazia, cioè la vita di Dio, riversata nel buco che il peccato ha scavato, corrodendo l’immagine originaria, dall’alto della croce: «A quanti però lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13). E il primo che credette in Lui è Giuseppe di Nazareth, il quale consentì che il suo progetto di vita coniugale con Maria fosse sconvolto dai piani di Dio ed egli stesso si mise al servizio di quei piani, arricchendo così immensamente la sua stessa piccola vita. Egli è uomo di fede: fede umile, biblica, illuminata e sostenuta dalla Parola dei profeti, fede obbediente. Per incontrare Gesù ci vuole la fede e l’obbedienza della fede, cioè «fare quanto Dio chiede».
Anche oggi se vogliamo incontrarci con Gesù e donarlo al mondo, dobbiamo agire come S. Giuseppe. Se noi lo volessimo, Gesù Cristo e il suo Vangelo potrebbe certamente contribuire a risolvere tutti i problemi per i quali tribola e piange l’umanità di oggi.