Riflessione sulla Pasqua del Signore
È così grande il mistero della Pasqua del Signore che è necessario sostare con la mente e il cuore per un lungo tempo di almeno cinquanta giorni; tanti giorni considerati come un unico giorno, un’unica grande domenica. Ascolteremo infatti, nel volgere dei giorni: prima domenica di Pasqua; seconda domenica di Pasqua, e così via fino alla Pentecoste.
La liturgia della domenica di risurrezione è un’esplosione di gioia e un canto di gratitudine al Padre celeste che in Gesù, risorto dalla morte, ci ha liberati da ogni potere del male e ci ha partecipato la sua stessa vita divina.
La Pasqua è il giorno nel quale, vincendo la morte, Gesù ha mostrato la verità sull’uomo: la morte non è la fine di tutto, ma l’inizio della vera vita, quella eterna; una vita la cui essenza è la partecipazione alla divinità. Lo avevano ben capito i santi, che abbandonando tutte le lusinghe di questo mondo, vivevano già nella prospettiva dell’eternità: vivevano per Dio, con Dio e in Dio.
Questa vittoria sulla morte è motivo di gioia e felicità per tutti, non solo per i cristiani, perché tutti dobbiamo morire e quindi tutti dobbiamo risorgere, chi per vivere eternamente con Dio, chi per vivere eternamente lontano da Dio. In fondo il vero senso della vita è questo: scegliere con chi stare dopo la morte. Vista in quest’ottica la vita umana cambia radicamento, perché non è più un affannarsi senza senso, con sullo sfondo la frontiera della morte che cela il nulla, ma una preparazione alla pienezza dataci da Dio. E questo ci è stato rivelato con la risurrezione di Cristo.
È però importante chiarire che la risurrezione di Gesù non è una sorta di rianimazione del cadavere e, quindi, un ritorno alla vita di prima, un ritorno indietro alla vita terrena: Lazzaro tornò indietro e riprese a vivere normalmente, andando però di nuovo incontro alla morte. Cristo, invece, va avanti, procede oltre la morte: proprio attraverso la morte raggiunge la piena comunione con Dio. Mentre per Lazzaro converrebbe parlare di «rianimazione» del cadavere, solo nel caso di Gesù c’è autentica risurrezione: Egli, infatti, ha superato definitivamente la morte, inaugurando per tutta l’umanità la possibilità di superare il fallimento della morte e realizzare in pienezza l’incontro eterno con Dio.
Come gli Apostoli, pertanto, anche noi annunciamo soprattutto il trionfo di Cristo e la sua glorificazione: Egli non è un fallito, come poteva sembrare; anzi, è asceso davvero al trono divino ed è divenuto il Signore del cosmo. Credere nella risurrezione di Cristo, infatti, significa riconoscerlo adesso responsabile dell’universo, principe di tutti gli uomini e Signore della nostra vita. La risurrezione di Gesù è l’inaugurazione del mondo nuovo; il Cristo risorto non torna indietro, ma va avanti.
la risurrezione apre nella storia uno squarcio sull’eternità quale vero destino dell’uomo. Gesù è stato risuscitato perché noi avessimo accesso allo sviluppo umano in pienezza: «È stato messo a morte per i nostri peccati, ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione». Per ogni essere umano, la giustificazione, mediante la risurrezione del Signore, significa: grazia, vita nuova, diventare figli adottivi di Dio Padre, riprodurre l’immagine del Figlio suo, incorporarsi a lui già risorto nello Spirito Santo, per mezzo della fede e del battesimo. Dinanzi agli occhi di ogni creatura umana, si apre così il panorama stupendo di una crescita umana in pienezza, che culmina in una vita di gioia infinita nell’eternità, in un’unione inscindibile col divino, che però già su questa terra ha il suo inizio. E una grazia che Dio aggiunge alla grazia dell’essere e della vita; il dono di renderci «partecipi della natura divina».
Gesù stesso sostiene di essere la via verso il Padre, la via nella quale, per opera del suo Spirito siamo diyinizzati per conseguire la nostra umanizzazione piena: «lo sono la Via, la Verjtà, la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Con questo vuol farci comprendere che l’inizio della via verso la pienezza è lui stesso. Cristo accompagna la persona non soltanto agli inizi del suo pellegrinaggio spirituale, ma lungo tutto il suo percorso, specialmente quando avviene l’unione con Dio. Questo è anche l’insegnamento che si ricava dall’esperienza dei santi.
Essi hanno sperimentato nella loro carne la carne del Figlio di Dio mediante l’unione perfetta con lui. Uniti a lui hanno sperimentato ciò che vi è di più profondo e autentico nella sua umanità: la sua condizione di Figlio di Dio. Se riconosciamo e accettiamo la nostra umanità col suo fardello di dolori e sofferenze, saremo capaci di accogliere, di apprezzare e di imitare l’umanità di Gesù.
Questa imitazione di Cristo porta in risalto come la divinizzazione dell’uomo si attui proprio nel seguire l’umanità di Gesù, dal momento che Cristo si è unito con tutta l’umanità, con tutti e con ciascuno di noi, a partire dalla sua incarnazione. Egli scoprì da se stesso e per mezzo degli altri che la sua umanità non era che l’altra faccia della divinità, inseparabile benché distinta; tanto distinta da essere penosamente consapevole dell’esistenza del peccato.
Questa unione umano-divina che Gesù vive interessa anche noi. La sua umanità è la nostra e la sua divinità è nostra. Nella nostra attuale condizione né Dio può separarsi da noi né noi da Dio; tanto che, se vogliamo sapere più a fondo chi siamo, se desideriamo scoprire i nostri talenti e le nostre possibilità, ecco, ci possiamo avvicinare a Gesù. Nel Gesù descritto dagli evangelisti, con i suoi talenti eccezionali, con la sua umanità così pura, con la sua filiazione eterna del Padre, possiamo scoprire ciò che siamo, ciò che valiamo e ciò che possiamo. E quando ci allontaniamo da Gesù e da Dio, perdiamo maggiormente la capacità di apprezzarci e di stimarci. E ci troviamo allora come estranei rispetto al nostro centro personale. Ci estraniamo quando smettiamo di osservare il Signore per riconoscere in lui i lineamenti e le fattezze più essenziali della nostra identità di persone e di figli di Dio. Questo è stupendo. Come l’allontanarci da Gesù ci fa diventare degli estranei, l’avvicinarci a lui ci permette di recuperare la stima in noi stessi, la consapevolezza di essere preziosi e la volontà di crescere come persone e come figli di Dio. Però, ci avviciniamo a lui in noi stessi. Invece di diventare, nella ricerca, come degli estranei a noi stessi, ci ritroviamo e ci conosciamo meglio, ci apprezziamo di più, ci identifichiamo maggiormente con noi stessi, a modo dei santi, perché cerchiamo Gesù in noi.
Gesù, sia come Parola creatrice del Padre, sia come Figlio incarnato, si rivela ora come la Presenza che dà origine e che costituisce la nostra esistenza e la nostra vita.
In questo vertice della realizzazione dell’esperienza si scopre che l’esperienza di Dio non consiste in un’azione umana su Dio; consiste, invece, nella comunicazione di Dio all’anima, nella comunicazione progressiva della sua presenza che dilata il cuore dell’uomo alla misura di Dio, scoprendogli profondità diverse e inimmaginabili.
L’esperienza della santità, allora, poggia essenzialmente su questa unione che Gesù ha stabilito fra lui e ciascuno di noi mediante la sua incarnazione, morte e risurrezione.
Dopo quanto è stato detto, la figura di Gesù si rivela abbagliante alla fine del cammino spirituale con il quale si identifica. Certo, Gesù ci unisce a sé affinché abbiamo accesso al Padre, nel suo Spirito. Ciò significa che la divinizzazione che trasforma la nostra mente e il nostro cuore, facendo sì che il nostro pensiero sia quello di Dio, la nostra volontà quella di Dio, la nostra memoria l’oggi eterno di Dio, sia una divinizzazione simile alla divinizzazione sperimentata dall’umanità di Gesù.
La nostra personalità, con le sue differenti funzioni psicologiche, si estende ed invanisce con dimensioni infinite all’interno dell’infinitezza di Dio presente nel Figlio di Dio incarnato.
L’unione è una trasformazione totale in Gesù. In lui e per lui la persona è resa divina e Dio per partecipazione, per quanto è possibile in questa vita, la divinizzazione, qui, è come una realtà viva e luminosa, mirabile e degna di tutta la nostra speranza. Certo la consumazione di unione amorosa non è completa: il suo completamento si attua nella vita eterna, quella vita rivelataci nell’esperienza del risorto.
La risurrezione quindi c’insegna l’intima verità su Dio e sulla salvezza dell’uomo. Cristo, nel suo mistero pasquale, porta alla sua pienezza la rivelazione di Dio e dell’uomo.
Il cristiano è chiamato a dare oggi testimonianza che solo in Gesù si raggiunge pienezza della vita che non finisce. Egli è una creatura nuova, l’antica è passata, la nuova è emersa, e la sua vita è nascosta, con Cristo, in Dio. E davvero tanto lontana dalla nostra vita quotidiana questa verità fondamentale? A volte sembrerebbe proprio così: tutto nel mondo attuale vorrebbe allontanarci da essa. Infatti la morte è bandita, esorcizzata in mille modi, banalizzata per farne un «accidens», non l’evento cruciale della vita, da cui tutta l’esistenza riceve illuminazione. La vita di Cristo invece ci insegna proprio questo: a saper morire come lui; perché se si muore così, certamente si risorge, e tutta la vita acquista un senso compiuto, altrimenti resta sempre un non vissuto nonostante tutto. Crediamo quindi intensamente nella risurrezione del Signore, viviamo una nuova vita piena di speranza, di forza, di amore. Risuscitare con Cristo sarà non vivere più nel peccato; sarà partecipare con Cristo al mistero della croce e alla salvezza degli uomini; sarà vivere questa vita come pellegrini, verso la gloria eterna di Dio e sperimentare già su questa terra la pienezza del regno dei cieli.