Riflessione sul Vangelo della III Domenica del T. O
Il Vangelo della terza Domenica del Tempo Ordinario è un Vangelo programmatico, cioè dice tutto il programma di Gesù e sottintende il programma della Chiesa.
Gesù fa due cose in questo Vangelo, che sono esattamente le due azioni fondamentali della sua missione: annunciare il Vangelo e farsi dei discepoli. E la seconda è subordinata alla prima: i discepoli vengono scelti e preparati dal Signore perché anche dopo di Lui il Vangelo sia annunciato a tutti gli uomini.
«Il regno di Dio è vicino»: è la parola che tutti gli uomini hanno diritto di ascoltare, perché è la verità che si aspettano nel profondo del loro cuore, anche se non lo sanno, anche quando credono di non credere, anche quando bestemmiano il nome di Dio. Perché questo Dio «vicino» dice una prossimità amicale, anzi patema, dice una presenza piena di premura e di attenzione. Dice una volontà di salvezza e di vita per tutti gli uomini, i figli, che essi non si aspettano e non osano nemmeno sperare.
L’annuncio che il Regno di Dio è vicino Gesù lo fa nel territorio di Zabulan e di Neftali e precisamente a Cafarnao. Siamo in Galilea e questa scelta non è casuale.
La Galilea è, dal punto di vista religioso, una terra povera, dove la religione d’Israele è a stretto contatto con il paganesimo. È la «Galilea delle genti» o «dei pagani». Qui risuona l’annuncio evangelico come a sottolinearne la gratuità del dono da parte di Dio e la universalità della destinazione.
Capire il significato dell’espressione «Regno dei cieli» è importante per comprendere la finalità della conversione e della predicazione del Vangelo e vivere come Cristo..
Dunque che cos’è il Regno dei cieli? È il tempo in cui Dio si dona agli uomini chiamandoli ad essere suoi figli e a vivere come fratelli. E l’insieme di persone che si lasciano guidare da Dio ascoltando la sua Parola e cercano di trasformare la loro vita a immagine della vita di Gesù, servo di Dio e dei suoi fratelli.
Le persone possono accogliere la Parola di Dio come un buon terreno: cambiare vita e produrre frutti di bene. Possono rifiutarla come un terreno sassoso e pieno di erbacce e continuare a comportarsi male (Mt 13,1-9.18-23).
Ma il ministero instancabile del maestro, che cammina, predica e guarisce, non può esaurire il compito dell’annuncio che a tutti deve arrivare ed è per questo che Gesù si preoccupa di formare discepoli che continuino il suo compito di evangelizzatore.
Da qui si comprende il senso della chiamata dei discepoli «vi farò pescatori di uomini», e il senso ancora più delicato di un cammino paziente di formazione e di educazione della fede dei pescatori di Galilea, che li abiliti a farsi testimoni della verità che annunciano, di quella verità che sarà sempre al di sopra delle loro forze, e che i discepoli dovranno continuamente re-imparare dal Maestro, anche quando Egli da risorto vivrà nella gloria del Padre.
Non possiamo dimenticare che la nostra fede battesimale ci abilita a farci discepoli e testimoni del Vangelo, non possiamo dimenticare che siamo noi coloro che il Maestro chiama alla sua sequela perché a tutti giunga il Vangelo di salvezza.
Ma possiamo ricordarci di questo, a patto che il Vangelo risuoni ai nostri orecchi come quella bella notizia senza la quale non capiremmo più il senso della nostra vita e della nostra fede. Nessun discepolo può impegnarsi nella sua testimonianza senza ripartire dalla sorgente della propria fede, quella riscoperta della meraviglia e dello stupore di sentire la presenza e la vicinanza di Dio così come Gesù ce l’ha presentata con la forza della sua persuasiva testimonianza e del suo Vangelo annunciato nella potenza dello Spirito Santo.
E semmai per la fatica e per le sfide affrontate appannano la nostra consapevolezza del dono ricevuto, tanto da dismettere l’annuncio e la nostra testimonianza e perfino da non riuscire più a dire con gioia e convinzione la nostra fede, ritorniamo all’incontro decisivo con il Signore, sulle sponde del nostro personale lago di Galilea, laddove siamo stati toccati e guariti dalla Parola del Maestro per reinserirci in quel dinamismo inesauribile che aveva colmato il vuoto del nostro cuore di vita vera, di verità liberante, di gioia indicibile.