Riflessione sul Vangelo della XXVI Dom del T. O. Anno B

L’esistenza cristiana ha come centro propulsore la “sequela Christi”, il seguire Gesù sulla via della croce: è quanto l’evangelista Marco continua a proporci in queste domeniche del Tempo Ordinario. L’evangelista in una specie di piccolo manuale raccoglie i criteri per stabilire l’identità dei discepoli di Gesù e le condizioni per far parte della sua comunità.

Il primo criterio è il riferimento al «nome» di Gesù. Esso viene presentato in un breve dialogo tra Gesù e Giovanni che gli dice: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Agli occhi di Giovanni un esorcista che fa ricorso al nome del suo maestro senza appartenere al gruppo dei suoi discepoli è un abusivo. E Gesù – rivolgendosi a tutto il gruppo – gli dice: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi». Gesù fa intendere che i suoi discepoli non sono i padroni della potenza del Suo nome e, in maniera definitivamente più chiara, sottolinea che non c’è bisogno di nessuna «autorizzazione scritta» perché si compiano azioni a favore degli altri, specie se in difficoltà, in altre parole, se si fa del bene, in nome di Dio e mossi dal suo Spirito. Tutt’altro, quando non si è mossi dallo Spirito di Dio, non solo non si compie il bene, ma lo si impedisce agli altri di farlo: è lo spirito di gelosia. La gelosia è verme che corrode e riduce in frantumi la verità, distruggendo la propria vita e quella dei fratelli. Anche l’invidia fa questo, anzi con essa vi è già la morte nel cuore dei sentimenti di verità e di carità verso Dio e verso il prossimo. Chi cade in questi peccati non può edificare il Regno di Dio, né in sé, né negli altri. Chi ama, toglie dal cuore ogni moto di invidia e di gelosia; accoglie ogni briciola di verità e di carità da chiunque altro gli vengano offerte; sa vedere l’opera dello Spirito Santo, autore di ogni carità e di ogni verità che si vive nel mondo; scruta e discerne ogni cosa e di ogni cosa sa farne uno strumento perché il Regno di Dio allarghi i suoi confini sulla terra. Gesù allarga lo sguardo degli Apostoli e nostro, dicendo che è già per loro chi ha nel suo cuore verità, bene, carità, compassione, amore, misericordia, bontà. A tutti costoro non bisogna proibire di fare il bene che loro sanno già fare. Bisogna invece dare loro la pienezza del mistero perché facciano tutto il bene che nasce dalla verità tutta intera. Loro devono aggiungere ciò che manca, non togliere ciò che già c’è. Questa è la via vera per l’edificazione del Regno di Dio sulla terra.

 

A questo Gesù aggiunge un altro insegnamento su ciò che sia i suoi discepoli che noi dobbiamo assolutamente evitare ed è lo scandalo, riguardante i rapporti all’interno della comunità e nei confronti dei «piccoli». Essi sono quei credenti che nel loro cammino di fede sono più fragili e insicuri. La parola di Gesù pone l’accento sulla gravità del peccato di chi provoca una crisi di fede dei fratelli più fragili: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare». L’enorme mola girata da un asino messa al collo di chi è gettato in mare, dà l’idea di una morte per annegamento senza scampo. È una delle peggiori disgrazie che possano capitare perché non lascia la possibilità di una regolare sepoltura.

 

Ma c’è anche lo scandalo nei confronti del proprio cammino di fede, al quale è legato il destino finale di salvezza o di rovina. In questo caso lo scandalo è il rischio di finire nella rovina o perdizione totale a causa di una particolare condizione o stile di vita assunto. Il discepolo è invitato a fare una scelta radicale per salvarsi anche a costo di sacrificare una parte preziosa e importante della sua vita, simbolicamente richiamate da alcune parti del corpo (occhio; mano; piede). La scelta è tra la vita piena e definitiva, chiamata anche «Regno di Dio», e la Geenna, «dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue», sono le immagini usate dall’evangelista Marco per sottolineare ciò che accade a chi ha scelto di vivere lontano da Dio, cioè nell’inferno.  

 

 

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