Riflessione sul Vangelo della XXVII Domenica del T. O. Anno C
Il tema fondamentale di questa 27a domenica del T.O., anno C, è certamente la fede.
Ma cos’è la fede? La fede certamente può essere richiesta a Dio, come gli stessi discepoli di Gesù che nel vangelo di questa domenica chiedono che gli venga aumentata; tuttavia la fede è sempre un dono che, gratuitamente, il Signore concede in Gesù Cristo a chi si affida a Lui. Un dono che non si può calcolare in termini di grandezza: piccolo o grande, minore o maggiore, diminuito o aumentato!
Ecco perché Gesù non risponde direttamente alla richiesta degli apostoli, ma suggerisce loro il criterio della semplicità e dell’estrema fiducia: chi crede non ha bisogno di avere «grossi numeri» di fede, gli basta averne quanto un «granellino di senapa»!
Non è dunque sulla forza e sulla potenza dei mezzi e delle cose esteriori che si misura e si valuta la riuscita della propria vita e delle proprie scelte cristiane. Non sono le manifestazioni esteriori, che sorprendono o che colpiscono con facili sensazionalismi, che rivelano la rettitudine dell’animo e l’adesione piena a Dio.
Infatti, nel brano del vangelo, Gesù ai discepoli che gli chiedono: «Signore, aumenta la nostra fede» risponde paradossalmente che se avessero una fede grande come un granello di senape potrebbero sradicare un albero maestoso e trapiantarlo in mare.
È paradossale, il granello di senape, il più piccolo dei semi, è capace di crescere sino a diventare un grande albero, tant’è che in altra parabola, Gesù paragona la crescita del regno di Dio alla sua crescita (cf. 13,18-19).
Un insegnamento di Gesù sembra, dunque, esserci latente un rimprovero ai suoi a ragione della loro esigenza di fede. In verità, Gesù non provoca i suoi a operare gesti insensati. La fede, come troviamo scritto altrove, saprà pure muovere le montagne, ma i valori a cui Gesù chiama i discepoli non sono quelli di un vissuto straordinario, quanto della normalità più ovvia e proprio perciò più ricca e preziosa.
La normalità della fede è quella d’affidarsi a Dio, senza aspettarsi da Lui azioni spettacolari, senza aspettarsi un sovvertimento delle regole. Lo spiega la parabola del servo. Egli non può attendersi che il padrone lo serva, perché tocca a lui prestargli servizio. Non diversamente i discepoli devono iscriversi in un orizzonte di obbedienza, ben sapendo che non possono attendersi premio o ricompensa per il compito che essi semplicemente devono svolgere.
La fede, insomma, è la normalità vitale del riconoscere Dio, la sua Parola, con ciò stesso è confessare il proprio limite di creatura. Dunque, la fede chiede una vita da vivere nella fiducia in Dio e nella sua Parola e che perciò stesso la fede non è una realtà misurabile.
Com’è la nostra?
Con una certa facilità noi diciamo di avere fede.
Le parole-rimprovero di Gesù ci avvertono che la nostra preghiera non deve essere: «Signore, aumentaci la fede», ma «Signore, donaci la fede».
Allora si potrebbe anche pensare che se la fede è dono di Dio, noi che cosa possiamo farci? Convincerci anzitutto che la fede è importante. Intatti, se tra fede, speranza e carità la più importante è la carità, è pur vero che non meno importante è la fede, poiché senza di essa non si può amare.
La fede somiglia alla conoscenza. Se non si conosce una persona non si può amarla: se non si sa che esiste, non si può desiderarla. Credere in Dio è come credere all’amore.
Che cosa dà a noi la certezza che Dio ci ama? La fiducia! Egli ci parla, noi accettiamo.
Se crediamo, beati noi, perché Cristo è il salvatore!
Chi non vuol credere, anche se vede i miracoli, non crede.
E quanti miracoli operò Gesù, fra cui tre risurrezioni dai morti. E infine risuscitò anche Sé stesso.
I credenti di ogni epoca sono chiamati a vivere nella fede, a fare di tutta la propria vita un confronto continuo con la fede dinanzi alle provocanti e inquietanti manifestazioni di guerra, violenza, iniquità, oppressione, rapina, liti, contese». Il dono della fede diventa vita che cambia la vita: una sfida aperta alle reali esigenze del mondo contemporaneo, alle richieste di una società per certi versi assente o sfiduciata nei confronti di Dio, per altri assetata, affamata e bisognosa di conoscerlo.