Riflessione sul vangelo XXIX Domenica del Tempo Ordinario Anno C
In questa domenica XXIX Domenica del Tempo Ordinario e nella prossima ascolteremo un insegnamento di Gesù sulla necessità della preghiera e sulle condizioni interiori necessarie perché la preghiera sia gradita a Dio. Gesù ci ha insegnato che bisogna pregare e ci ha dato come modello di ogni preghiera cristiana, la preghiera del Padre nostro. Ma nel Vangelo di questa domenica il suo insegnamento – in forma di parabola – insiste sulla necessità appunto di intrattenersi con Dio e di perseverare nel rivolgersi a Lui attraverso la preghiera.
Perché? Se pensiamo che tutta la vita si riduce all’esperienza terrena, allora non c’è bisogno di pregare; se però guardiamo alla nostra vita in prospettiva di eternità, pregare è necessario perché la preghiera è la vita della fede. Dire di avere la fede e poi non voler trovare il tempo per pregare è mentire a sé stessi. È condannare sé stessi alla dannazione eterna, perché «la salvezza si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù».
E il dono della salvezza è un bene tale che ci fa capire perché Gesù nel Vangelo ci dice di «pregare sempre senza stancarci»: perché, finché siamo nella vita presente, non arriverà mai un momento nel quale possiamo dire: ecco, adesso sono salvo; quindi non ho più bisogno di chiedere a Dio la salvezza. Al contrario, se facessimo questo stolto e presuntuoso ragionamento, saremmo più che mai in pericolo di perderci, perché potremo salvarci solo se saremo perseveranti nel chiedere la salvezza fino alla fine della nostra vita; in caso contrario, ci perderemmo. Quando quindi Gesù dice che sarà salvo «chi persevererà sino alla fine», in questa perseveranza Egli include certamente anche la pratica della preghiera.
Comunque, anche a parte la richiesta della salvezza finale, Gesù ci fa capire che la preghiera, in linea di principio, dev’essere insistente, come la preghiera della vedova della parabola, vera icona dell’orante: è possibile riconoscere colui che prega non dalla quantità delle parole che dice, dal numero delle preghiere, nemmeno dalla loro spontaneità.
La preghiera non è sincera perché spontanea, immediata, improvvisata, come forse oggi si tende a pensare; ciò che rende autentica la preghiera è l’atteggiamento interiore, che deve essere un atteggiamento di attesa, di umiltà, di povertà. Prega veramente chi ha consapevolezza della propria creaturalità e pertanto anche della propria particolare fragilità e povertà quando si è lontani dall’amore di Dio. È la coscienza di una povertà esistenziale che spinge l’uomo a mettersi davanti a Dio.
E il protagonista vero della preghiera è lo Spirito Santo di Dio, che prega e geme in noi con grida inesprimibili e che ci suggerisce quello che dobbiamo chiedere.
Dio, che è Padre amantissimo e misericordioso, è pronto ad aiutarci quando ci rivolgiamo a Lui alle debite condizioni, ossia chiedendo cose necessarie o utili alla salvezza e con la dovuta fiducia ed umiltà.
Così Gesù ci chiede di essere insistenti non solo nella preghiera che chiede la salvezza finale, ma anche in quella che chiede favori il cui esaudimento entra nell’ambito della vita presente, benché sempre ordinati alla salvezza. E perché questa insistenza? Non già per smuovere una volontà divina inizialmente o a lungo ritrosa, ma perché può capitare che siamo noi a non avere la fede sufficiente per ottenere, per cui la ripetizione della medesima richiesta rafforza la fede ed esprime al contempo una fede più forte.
Di fatti, come fa notare Gesù, può avverarsi il caso che la richiesta venga immediatamente esaudita; ma ciò suppone allora nell’orante la fede sufficiente perché ciò avvenga, come lascia intendere Gesù immediatamente dopo: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». La preghiera, pertanto, non serve ad informare Dio di ciò di cui abbiamo bisogno: Egli lo sa meglio di noi, e non desidera altro che di darcelo; né serve a muovere la sua volontà a darcelo, perché questa volontà Egli l’ha già per conto suo senza e prima che lo preghiamo. Essa invece serve a noi, a rafforzare la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità. Che cosa intende qui Gesù per «fede»? Lo spiegano le parole di Gesù nel Vangelo di Marco: chi prega deve pregare «senza dubitare in cuor suo». È qui, per noi, che sta il segreto per ottenere presto e con certezza quanto chiediamo: bisogna che chiediamo quelle stesse cose che Dio vuol darci. Se infatti Egli stesso vuol darcele, sarà mai possibile che non siamo esauditi? Il problema allora si sposta: occorre sapere che cosa Dio vuol darci, per cui la prima preghiera è quella di chiedere a Dio di illuminarci su ciò che Egli stesso vuole: è quanto chiediamo nel Padre nostro: «Sia fatta la tua volontà».