Riflessione sul vangelo XXXII Domenica del Tempo Ordinario Anno C

Ci avviciniamo alla fine dell’anno liturgico che è poi come una preparazione alla fine della vita di ogni uomo e, nel volgere dei millenni, della fine della stessa storia e si impone una domanda, antica e sempre nuova: cosa c’è dopo la morte?

La risposta di Gesù giunge a noi come risposta ad un quesito che gli è stato posto dai sadducei che non credevano nella vita eterna e nella risur­rezione. I sadducei erano alcuni giudei che discendevano da una delle più importanti fami­glie sacerdotali. Essi riconoscevano come sacri solo i primi cinque libri della Bibbia, non credevano nell’esistenza degli angeli e se pur credevano in Dio e nella sopravvivenza dell’anima, non nella risurrezione della carne.

Un giorno decisero di discuterne con Gesù, non tanto perché dubi­tavano delle proprie convinzioni, ma per confermarle e opporle all’insegnamento di Gesù, che preannunciava la sua risurrezione dopo la crocifissione, ed annunciava la risurrezione finale di tutti coloro che credono in Lui: «Chi crede in me, non morirà in eterno».

I sadducei, quindi, proposero a Gesù la storia dei sette fratelli che ebbero per moglie la stessa donna: se esiste la risurrezione, di chi sarà moglie quella donna, visto che ebbe sette mariti?

Ma il Paradiso non è un duplicato della vita terrena, infatti la condizione degli eletti in cielo è qualcosa di molto più elevato rispetto alla vita terrena!

 San Paolo si chiede: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo ritornano?» (1Cor 15,35); e risponde: «Quel che semini non è il corpo futuro ma un semplice chicco» (1Cor 15,37); «si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale» (1Cor 15,44).

Il seme, posto nella terra, scompare, e al suo posto appare una pian­ticella, la quale non è altro che il seme trasformato in pianta. Così avverrà del nostro corpo.

Perciò, ai sadducei che immaginavano l’al di là come un fac-simile della vita terrena, Gesù risponde: «I figli di questo mondo prendono mo­glie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito».

Ciò che caratterizza «coloro che saranno giudicati degni dell’altro mondo», è la vita, poiché Dio è vita: JHWH, infatti, significa «colui che è».

Tutti sono vivi per Lui, perché Lui è il Dio dei vivi e non dei morti.

Se a causa dell’invidia del diavolo gli uomini subiscono la morte, Dio non gioisce per essa, ma opera perché gli uomini – rinunciando al veleno del peccato – vivano in Lui sulla terra e poi nell’eternità.

Dio è certamente anche il Dio dei morti, e persino dei mostri infernali – in quanto anch’essi sono «esseri» – ma Dio ama definirsi «Dio dei vivi», perché la morte, il male, sono assenza di Dio, che è Vita e Sommo Bene.

La vita futura sarà diversa da quella che viviamo ora su questa terra: non ci sarà più bisogno di sposarsi, vivremo per sempre e non moriremo più, non ci saranno brutte notizie, né dolori, né lutto, né lacrime. Sarà una vita felice e beata e la gioia non finirà mai.

State però attenti alle parole che dice Gesù, perché in Paradiso an­dranno solo quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risur­rezione dai morti.

Che significa? Che dobbiamo prepararci per poter entrare nel regno della felicità, bisogna impegnarsi per «esserne degni», cioè dobbiamo cre­dere in Gesù, ascoltarlo e mettere in pratica tutto quello che Lui ci dice, cioè amare il Signore ed i nostri fratelli.

Infatti, «quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione sono figli di Dio».

Dio ci ha fatti suoi figli per somigliare a Lui in questa vita vivendo di grazia e verità e nell’altra essere luce come Lui è luce in cui non pos­siamo più soffrire né morire, saremo come gli angeli, figli della risurre­zione, perché Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi.

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